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Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2016, n. 10721 – Schermo di protezione della macchina non idoneo: infortunio di una lavoratrice

SentenzaFatto – B.R. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado quanto al trattamento sanzionatorio [gli sono state concesse le generiche con giudizio di equivalenza e la pena è stata quindi ridotta], ne ha confermato peraltro il giudizio di responsabilità relativamente al reato di lesioni colpose aggravate dalle violazione delle norme antinfortunistiche per un infortunio subito da una lavoratrice della propria azienda in ragione dell’utilizzo di una macchina tagliaguardolo non conforme [la violazione del dovere di sicurezza era articolato valorizzando il disposto dell’articolo 73 del dpr n. 547 del 1955, laddove questo prescrive che i macchinari siano dotati di idoneo riparo per impedire il contatto del lavoratore con gli organi lavoratori pericolosi].
L’addebito era stata ravvisato anche a carico di altro imputato, condannato ma non ricorrente, cui era stato addebitato di avere venduto all’odierno ricorrente il macchinario non conforme.
Per quanto riguarda la posizione del B.R., conformemente in primo secondo grado, si apprezzava l’irregolarità della macchina, siccome dotata di uno schermo di protezione inidoneo, che nello specifico consentiva che le dita del lavoratore venissero in contatto con le lame ogni qualvolta detto schermo, regolabile in altezza, non era collocato in una posizione estremamente bassa rispetto al piano di lavoro].
Con il ricorso si ricostruisce il portato dell’articolo 2087 del codice civile, i doveri cautelari del datore di lavoro e le regole probatorie [tra l’altro, prospettandosi una disciplina dell’onere probatorio proprio del settore civilistico, citandosi in proposito giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, non conferente al caso di specie].
Il ricorso, in effetti, si sofferma sul caso specifico solo allorquando si argomenta, in modo assertivo, che il macchinario coinvolto nell’incidente sarebbe stato da considerare regolare, perché dotato di uno strumentario di sicurezza analogo a quello di altro macchinario più recente acquistato dalla azienda, e che lo schermo protettivo in uso sul macchinario di interesse solo “presuntivamente” poteva ritenersi allocato ad un’altezza tale da consentire la verificazione dell’incidente.

Diritto – In via preliminare deve darsi atto che in data 18.3.2015, quindi successivamente alla sentenza impugnata, pronunciata il 27.6.2014, è intervenuta la prescrizione del reato contestato, essendo decorso il termine stabilito dall’art.157 c.p. e non essendo intervenute ulteriori cause di sospensione della stessa.
In presenza della causa estintiva della prescrizione, l’obbligo di declaratoria di una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., comma 2, da parte della Corte di cassazione, postula in concreto che gli elementi idonei ad escludere l’esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, sicché la valutazione che deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento.
In questa prospettiva, è principio consolidato che in presenza di una declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, è precluso alla Corte di cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione.
Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione del comma 2 dell’articolo 129 c.p.p. deve essere invece circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’articolo 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo (Sezione IV, 6 marzo 2008, Scupola).
Ciò premesso, la fattispecie in esame si caratterizza proprio per la mancanza dei ricordati presupposti per l’assoluzione dell’imputato nel merito.
La doglianza prospettata dal ricorrente, per come formulata, è all’evidenza generica e comunque tale da essere inidonea a sollecitare una censura in sede di legittimità, perché
tipicamente di merito, allorquando si risolve in un dissenso sulla ricostruzione operata dai giudici, i quali risultano avere esaminato con attenzione i profili di idoneità del macchinario, l’irrilevanza quale tertium comparationis della nuova apparecchiatura introdotta nell’azienda [non solo estranea all’Infortunio, ma comunque caratterizzata da uno strumentario di sicurezza più efficace, essendo previsto un apposito utensile, destinato a rimanere nella disponibilità dei soli addetti alla manutenzione, per la rimozione o la regolazione dello schermo di protezione], l’eziologia dell’incidente [tale da essersi verificato proprio perché l’altezza dello schermo consentiva l’introduzione accidentale delle dita].
L’affermazione di responsabilità del datore di lavoro, del resto, risulta del resto in linea con le norme e con il ruolo del datore di lavoro, quale responsabile primario della sicurezza dell’ambiente di lavoro. Infatti, anche a prescindere dalle espresse indicazioni normative degli articoli 69 e segg. del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, già dal generale disposto dell’articolo 2087 del codice civile, che costituisce “norma di chiusura” rispetto alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, deve desumersi a carico del datore di lavoro l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa quelle misure che, sostanzialmente ed in concreto, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. In questa prospettiva, il datore di lavoro è tra l’altro tenuto a fornire ai lavoratori macchinari sicuri, mentre eventuali concorrenti profili colposi addebitabili ad altri [il fabbricante, il noleggiatore o, nel caso di specie, il precedente proprietario del macchinario] non elidono certamente il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo in danno del lavoratore, essendo quindi configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell’azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina – che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone- senza avere appositamente accertato che il proprio dante causa [costruttore, precedente proprietario, ecc.], abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l’idoneità all’uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto “affidamento” sull’osservanza da parte di questi delle regole della migliore tecnica (cfr., per utili riferimenti, Sezione IV, 6 aprile 2011, Pezzino; Sezione IV, 25 novembre 2010, Nemfardi; Sezione feriale, 26 agosto 2008, Brescia; Sezione IV, 11 dicembre 2007, Mantelli ed altri).
A ciò dovendosi finanche aggiungere che, a voler solo in ipotesi considerare il macchinario astrattamente conforme alle norme di sicurezza [come assertivamente preteso nel ricorso, ma smentito in sentenza] ciò neppure esonerebbe il datore di lavoro dalla responsabilità per le lesioni eventualmente patite dal lavoratore, allorquando il primo abbia consentito, o comunque non impedito, un’utilizzazione anomala dello strumento lavorativo, o comunque un uso tale da ampliare l’area del rischio infortunistico, in ogni caso in cui ricorrano le condizioni per esporre il lavoratore proprio a rischi del tipo di quelli in concreto realizzatisi (Sezione IV, 5 febbraio 2015, Galbusera): ipotesi qui di non dubitabile verificazione, con riferimento all’altezza con cui era stato posto lo schermo protettivo, tale da consentire il contatto delle dita dell’operatore con gli organi pericolosi).
In conclusione, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione Così deciso in data 19 febbraio 2016

FONTE: Cassazione Penale

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