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Crisi: Unimpresa, ​cinque aziende su ​otto chiedono prestiti per pagare le tasse

Novembre e dicembre caldo per le scadenze fiscali e le aziende sono con l’acqua alla gola. Per onorare gli impegni con l’erario, gli imprenditori continuano a bussare allo sportello bancario: cinque aziende su otto chiedono prestiti in banca per pagare le tasse. E’ uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione tributaria. Ragion per cui oltre il 62% delle micro, piccole e medie imprese italiane è stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E ci sono Irap, Ires, Irpef e Imu in cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito. Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, più in generale, per tutti gli adempimenti con l’Erario. Questi i dati più rilevanti di un sondaggio del Centro studi di Unimpresa, condotto fra le 110.000 imprese associate sulla base dei dati raccolti al 30 ottobre 2016.

Prestiti fiscali per 69mila imprenditori. Oltre 68.700 pmi associate a Unimpresa (il 62,5% del totale), dunque, hanno chiesto soldi alle banche, nel primo semestre di quest’anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni, i cui risultati sono in linea con quelle svolte negli scorsi anni, sono state effettuate dal 1 novembre al 20 novembre di quest’anno, attraverso le sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all’imposizione tributaria che colpisce gli immobili (Imu e Tasi in particolare), è l’Irap l’altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italiani, tenuto conto che l’imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdite dunque in assenza di utili. Pesano, poi, sui bilanci delle imprese, i versamenti riguardanti Irpef e Ires. Tre, in particolare, i comparti dell’economia del Paese letteralmente “strozzati” dal tributo immobiliare. Secondo il sondaggio Unimpresa, gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le categorie che basano più di altre la loro attività imprenditoriale proprio sugli immobili. E dunque si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di alberghi in cima alla classifica), delle piccole industrie e delle fabbriche (per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i cosiddetti supermercati).

Novembre e dicembre, raffica di scadenze. Novembre e dicembre sono mesi pieni di appuntamenti col fisco, specie quelli relativo ai balzelli immobiliari, ma non solo. L’imposta più impegnativa da onorare a novembre è l’acconto Ires, pagato dalle società di capitali. Lavoratori autonomi e imprese verseranno l’Iva. I collaboratori e i lavoratori dipendenti, attraverso i rispettivi datori di lavoro, verseranno le ritenute. Costerà caro alle aziende l’acconto Irap così come le ritenute Irpef dei lavoratori autonomi e l’addizionale regionale Irpef. A dicembre, la voce più importante è rappresentata dalle tasse sulla casa: saldo Tasi e Imu. Sempre a dicembre inoltre è previsto il versamento dell’acconto Iva.

Triplo effetto negativo sulle aziende
Secondo il Centro studi di Unimpresa «tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende.Il primo è l’apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell’attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei “prestiti fiscali” va decurtato in proporzione al valore dell’ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo “guaio” è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l’impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse».

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