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Dipendente cade dalle scale per andare a rispondere al telefono: è infortunio sul lavoro

SentenzaIncidente sul lavoro per il dipendente che cade dalle scale per andare a rispondere al telefono, anche se non era tenuto a prendere la chiamata. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n.6 del 5 gennaio 2015.

IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte di Appello di Perugia, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito dell’occasione di lavoro in relazione al sinistro occorso ad un lavoratore in data 6 settembre 1996, ne respingeva la domanda intesa a conseguire, sul presupposto della configurabilità dell’evento occorsogli come infortunio sul lavoro, la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società datrice per superamento del periodo di comporto.

In particolare, la decisione si fondava essenzialmente sul convincimento cui la Corte territoriale perveniva in ordine all’assenza di prova circa la ricorrenza nella specie di fattori tali da aggravare il rischio generico da cui faceva discendere l’esclusione dell’occasione di lavoro, che assumeva non ravvisabile in ipotesi di mera coincidenza tra infortunio e lavoro.

Nel ricorso per cassazione, il lavoratore censura la decisione della Corte territoriale in ordine alla erronea valutazione della ricorrenza in concreto del parametro normativo dell’occasione di lavoro.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione accoglie sul punto il ricorso presentato dal lavoratore. In effetti, precisa la Suprema Corte, la sentenza impugnata si rivela carente nel suo iter logico-argomentativo dal momento che la Corte dì Appello di Perugia, una volta proceduto alla valutazione delle risultanze degli svolti accertamenti istruttori in termini negatori di quanto dedotto in fatto dal dipendente circa la specifica incombenza, ovvero la telefonata cui asseriva essere tenuto o comunque disponibile a rispondere, che lo aveva indotto a percorrere i gradini attraversando i quali si era procurato la distorsione causa della successiva prolungata assenza dal lavoro, nonché in ordine alla presenza di grasso sugli stessi gradini ed in ultima analisi sulle modalità stesse dell’incidente occorsogli con conseguente difficoltà di individuare in che cosa il lavoratore fosse in quel frangente impegnato, non dà adeguata motivazione della ritenuta insussistenza nella specie dell’”occasione di lavoro” cui l’art. 2 del D.P.R. n. 1124/1965 subordina la configurabilità dell’infortunio sul lavoro.

La Corte territoriale si limita a motivare il proprio convincimento sulla base del rilievo per cui il requisito dell’occasione di lavoro non è integrato dalla mera coincidenza di tempo e luogo tra infortunio e lavoro laddove l’orientamento dominante della Suprema Corte ricomprende nella nozione di “occasione di lavoro” tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio-economiche, in cui l’attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, col solo limite, in quest‘ultimo caso, del c.d. rischio elettivo, ossia derivante da una scelta volontaria del lavoratore diretta a soddisfare esigenze personali (cfr. Cass. n. 2942/2002 e più di recente Cass. n. 12779/2012).

Si ritiene in sostanza che la nozione di “occasione dì lavoro” sia assunta in una accezione più lata di quella di “causa di lavoro” afferendo ad ogni fatto comunque ricollegabile al rischio specifico connesso all’attività lavorativa cui il soggetto è preposto, di modo che, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 1124/1965, l’infortunio sul lavoro non può essere circoscritto nei limiti dell’evento di esclusiva derivazione eziologica materiale dalla lavorazione specifica espletata dall’assicurato, ma va riferito ad ogni accadimento infortunistico che all’occasione di lavoro sia ascrivibile in concreto, pur se astrattamente possibile in danno di ogni comune soggetto, in quanto configurabile anche al di fuori dell’attività lavorativa tutelata ed afferente ai normali rischi della vita quotidiana privata; pertanto l’evento infortunistico verificatosi in occasione di lavoro non va considerato sotto il profilo della mera oggettività materiale dello stesso, ma deve essere esaminato in relazione a tutte le circostanze di tempo e di luogo connesse all’attività lavorativa espletata potendo in siffatto contesto particolare assumere connotati peculiari tali da qualificarlo diversamente dagli accadimenti comuni e farlo rientrare nell’ambito della previsione della normativa di tutela, con l’unico limite della sua ricollegabilità a mere esigenze personali del tutto esulanti dall’ambiente e dalla prestazione di lavoro, c.d. rischio elettivo.

A tale stregua il denunciato vizio dì motivazione deve ritenersi sussistere in relazione all’insufficiente esplicazione del convincimento del giudicante circa l’ininfluenza ai fini dell’aggravamento del rischio generico di quelle circostanze di tempo e di luogo pacificamente accertate date dall’essere al momento dell’infortunio il lavoratore presente presso la propria postazione di lavoro (lo spogliatoio e il casotto all’interno di un’area attrezzata…) conformata in modo tale da presentare un rischio di danno per il lavoratore (per raggiungere lo spogliatoio c’erano due gradini e poi ce n’era un terzo che era il bordo del marciapiede) e dall’essere per ciò stesso in quel medesimo momento il medesimo presumibilmente impegnato nell’esercizio delle proprie mansioni a prescindere dall’individuazione della specifica incombenza cui attendeva.

FONTE: lavorofisco.it

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