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Quando una prestazione di lavoro può dirsi subordinata?

contatto_lavoro_chiamataDeve essere esclusa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ove non emergano gli elementi sintomatici di tale rapporto come l’eterodirezione della prestazione, l’osservanza di un orario prestabilito ed obbligatorio ed anche l’esistenza di una retribuzione fissa, ciò soprattutto alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale sugli elementi che devono connotare un rapporto di tipo subordinato, avendo la Consulta ribadito il ruolo determinante dell’eterodirezione della prestazione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23606 del 18 novembre 2015.

IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da un lavoratore diretta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con il datore di lavoro a decorrere dal 1° ottobre 1997 con conseguente nullità o inefficacia del licenziamento orale intimato il 15 settembre 2006 con condanna ai pagamento di tutte le retribuzioni non percepite.

In particolare, il Tribunale osservava che le circostanze addotte dal lavoratore non erano idonee a dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sia perché smentite dallo stesso lavoratore in sede di interrogatorio libero sia perché generiche in ordine alla sussistenza del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado; dichiarava tardiva la produzione documentale unitamente all’appello anche perché l’appellante nulla aveva provato in ordine alla impossibilità di produrre ritualmente i documenti ed osservava che tali documenti non apparivano neppure decisivi.
Nel merito la Corte rilevava che nel ricorso era stato dedotto che il lavoratore fosse un avvocato e che le mansioni svolte fossero quelle del disbrigo delle pratiche dello studio, mentre era emerso che il datore non era un avvocato e che svolgeva il ruolo di consulente d’impresa all’interno di un ufficio che condivideva con un consulente di infortunistica e con altri due avvocati che avevano compensato tutti il ricorrente, senza una cadenza precisa temporale.
Era emerso anche che il datore aveva emesso dei compensi a favore del lavoratore ma come amministratore di varie società. Lo stesso lavoratore aveva ammesso in sede di interrogatorio libero che non aveva un orario da rispettare e di non venir controllato, di aver svolto attività per il consulente di infortunistica e di essere stato compensato in ragione degli atti che gli erano stati affidati.
Alla stregua di tali circostanze doveva escludersi la natura subordinata del rapporto tenuto anche conto del fatto che il dedotto potere direttivo del datore non era stato circostanziato sicché si rivelava del tutto inutile lo svolgimento della richiesta prova testimoniale.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, in particolare dolendosi per la mancata ammissione di una prova testimoniale, essendosi dato esclusivo rilievo alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio libero senza ammettere la prova e senza adeguatamente considerare i pagamenti documentati da parte del datore.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal lavoratore. Invero, dalle dichiarazioni rese dal medesimo in sede di interrogatorio libero si evinceva chiaramente che lo stesso non aveva un orario di lavoro prestabilito ed obbligatorio, né percepiva una retribuzione fissa. Neppure le istruzioni venivano esclusivamente impartite dal preteso datore di lavoro posto che il lavoratore aveva affermato che “era anche lui a darmi direttive”: in ogni caso – sottolineano gli Ermellini – si trattavano di direttive non puntuali e specifiche posto che il lavoratore aveva precisato che il preteso datore di lavoro “mi spiegava lo svolgimento dei compiti esterni dello studio”. Certamente il giudice poteva trarre elementi di convincimento dalle stesse dichiarazioni del lavoratore; ma non si era limitato a questo nel motivare il rigetto delle istanze istruttorie ed il rigetto della domanda in quanto aveva sottolineato come il preteso datore di lavoro, descritto come un avvocato, tale non era e che la situazione dello studio nel quale avrebbe lavorato il lavoratore non era come quello indicata in ricorso emergendo una pluralità di titolari che si avvalevano tutti dell’attività del medesimo. Anche la remunerazione di tale attività presentata come di lavoro subordinato era emerso come effettuata anche da altri soggetti. Pertanto alla stregua di tali elementi tra loro convergenti il giudice aveva escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, posto che erano stati esclusi dallo stesso lavoratore alcuni elementi sintomatici di tale rapporto come l’eterodirezione della prestazione, l’osservanza di un orario prestabilito ed obbligatorio ed anche l’esistenza di una retribuzione fissa (cfr. sugli elementi che devono connotare un rapporto di tipo subordinato deve richiamarsi l’ultima decisione della Corte Costituzionale n. 76/2015 che ribadisce il ruolo determinate dell’eterodirezione della prestazione); inoltre il contesto nel quale si sarebbe svolto il detto rapporto emergeva come radicalmente diverso da quello descritto nel ricorso. Conseguentemente non si era ammessa la prova testimoniale in quanto superflua e non si erano ritenuti significativi alcuni assegni consegnati al lavoratore posto che gli stessi non erano stati corrisposti in via periodica e che il lavoratore era stato remunerato anche da terzi per l’attività.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

FONTE: http://www.lavorofisco.it

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