Cassazione Penale, Sez. 4, 09/11/2016, n. 47093 – Demolizione di un solaio e crollo: se non c’è un preposto, l’obbligo di vigilanza permane in capo al datore di lavoro

SentenzaFatto: 1. La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Lecce nei confronti di L.L. in relazione al reato di cui agli artt.113 e 590, comma 3, cod. pen. commesso in Lecce il 12 maggio 2009. All’imputato si rimprovera di avere cagionato per colpa, in qualità di datore di lavoro, lesioni personali gravi a due lavoratori, adibiti alla demolizione di un solaio al primo piano di una civile abitazione e trascinati dal crollo dopo aver svincolato detto solaio dai muri perimetrali con martelli demolitori elettrici; nell’occasione, mancavano idonei dispositivi individuali di protezione quali imbracature di sicurezza ed era mancata idonea formazione dei lavoratori alle opere di demolizione, in assenza di idonee opere di rafforzamento e puntellamento del solaio e specifica previsione e programmazione nel piano operativo di sicurezza della fase di demolizione.
2. L.L. ricorre per cassazione deducendo, con un primo motivo, vizio di motivazione per travisamento delle risultanze istruttorie. Il ricorrente ritiene che l’istruttoria abbia dimostrato che il datore di lavoro avesse messo a disposizione dei lavoratori le attrezzature necessarie ed avesse indicato loro le modalità attraverso le quali avrebbero dovuto eseguire la demolizione, ma che i lavoratori, sebbene esperti, abbiano posto in essere un comportamento radicalmente lontano dalle ipotizzabili imprudenze nell’esecuzione del lavoro.
Con un secondo motivo deduce inosservanza dell’art.62 bis cod. pen. perché nella sentenza impugnata non si è tenuto conto dell’attenzione del datore di lavoro per l’osservanza delle prescrizioni antinfortunistiche da parte dei lavoratori né del rilevante concorso di colpa dei lavoratori.
Con un terzo motivo deduce erronea applicazione dell’art.597 cod.proc.pen. per avere omesso i giudici di merito, senza motivazione, di applicare il beneficio della non menzione della condanna ai sensi dell’art.175 cod. pen. invocato dall’imputato.

Diritto:
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. Nell’atto d’impugnazione sono stati riportati alcuni stralci di deposizioni testimoniali, ivi incluse le dichiarazioni dei lavoratori, dalle quali emergerebbe che i lavoratori addetti alla demolizione del solaio erano esperti ed avevano in precedenza eseguito altre demolizioni, che era inverosimile che non si fossero resi conto di aver eseguito il taglio trasversale delle travi, che ai lavoratori fossero state date le attrezzature necessarie per puntellare i solai nonché le indicazioni sulle modalità per eseguire il lavoro in sicurezza. Tanto al fine di sostenere il vizio di motivazione per travisamento della prova.
1.2. Alle doglianze dell’appellante, di tenore analogo al presente motivo di ricorso, la Corte territoriale ha replicato osservando che non vi fosse prova dell’esperienza pregressa dei due lavoratori né delle direttive loro fornite dal datore di lavoro, che si era limitato ad impartire l’ordine di demolire un solaio non puntellato mettendo a disposizione due martelli pneumatici, una flessibile, una pala ed una scala, senza alcun dispositivo antinfortunistico. Nella sentenza si è, altresì, precisato che l’asserita, ma indimostrata, esperienza dei lavoratori non potesse considerarsi circostanza decisiva sia perché colui che svolgeva da quarant’anni mansioni di muratore aveva dichiarato di non essersi mai occupato di solai e che ne aveva solo demoliti due nella stessa abitazione il giorno precedente, sia perché nessuno aveva loro spiegato che il telaio dell’ultimo solaio era posizionato in modo differente, sia perché colui che svolgeva mansioni di manovale si limitava ad eseguire gli ordini del primo.
1.3. Particolare rilievo riveste il punto della motivazione in cui la Corte territoriale ha posto l’accento sulla circostanza, emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale, che i due lavoratori svolgessero il loro lavoro senza l’assistenza di alcun preposto supervisore ma alla sola presenza della proprietaria dell’abitazione committente che, ovviamente, non svolgeva attività di preposta.
2. In linea di principio, giova ricordare che il sistema prevenzionistico disegnato dal legislatore è ora imperniato su un modello collaborativo che ripartisce gli obblighi tra più soggetti (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini, Rv. 266073); ciononostante, sussiste in capo al datore di lavoro un potere- dovere generale di vigilanza permanente sul rispetto delle disposizioni antinfortunistiche impartite ai lavoratori (Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio, Rv. 266853; Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263200 che fonda tale dovere sull’art.2087 cod. civ.) che, ancorché non espressamente previsto, si ricava sia dall’art.18 lett.f) che dall’art.19 d. lgs. 9 aprile 2008, n.81. Tali norme, in sintesi, prevedono l’obbligo del datore di lavoro di richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle disposizioni antinfortunistiche e la funzione del preposto di vigilare sull’osservanza delle norme e delle direttive, oltre che sull’uso dei presidi di protezione, da parte dei lavoratori; con la conseguenza che, ove non vi sia un preposto, il predetto obbligo di vigilanza permane in capo al datore di lavoro.
2.1. Dal raffronto della censura con il testo della sentenza impugnata emerge, pertanto, l’inconsistenza dell’assunto secondo il quale vi sarebbe stato un travisamento della prova, che presuppone l’utilizzazione di un’informazione inesistente o l’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 6, n.45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). Giova aggiungere che il vizio di travisamento della prova, nel caso in cui i giudici delle due fasi di merito siano pervenuti a decisione conforme, può essere dedotto solo nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep.2014, Nicoli, Rv. 258432) ovvero qualora entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837).
2.2. Non essendovi specifica contestazione dell’assunto secondo il quale i lavoratori non fossero assistiti da alcun preposto, nè fossero stati dotati di idonei dispositivi individuali di protezione né adeguatamente formati, tali non potendosi considerare le parcellizzate riproduzioni di stralci di deposizioni testimoniali, osserva il Collegio che il criterio di giudizio al quale si sono attenuti i giudici di merito, che dà conto della non decisività delle acquisizioni istruttorie asseritamente travisate, è conforme a quel principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle loro responsabilità quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, n.22044 del 2/05/2012, Goracci, n.m.; Sez.4, n.16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv. 252373; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710;Sez.4, n.21511 del 15/04/2010, De Vita, n.m.).
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, dunque inammissibile. I giudici di merito hanno evidenziato l’elevato grado di colpa dell’imputato e l’omessa allegazione di elementi suscettibili di positiva valutazione e tale motivazione risulta rispettosa dei criteri di giudizio ai quali il giudice di merito deve attenersi in base al disposto dell’art.62 bis cod. pen., non essendo necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, dep.2005, Alba, Rv. 230691).
4. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Non risulta che l’imputato avesse proposto istanza di applicazione del beneficio previsto dall’art.175 cod. pen. né che avesse dedotto con i motivi di impugnazione circostanze specifiche che, in base all’art. 133 cod. pen., legittimassero la concessione del beneficio stesso. Non può, in tal caso, censurarsi per violazione di legge l’omesso esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice di appello dall’art.597 cod.proc.pen. (Sez. 2, n. 15930 del 19/02/2016, Moundi, Rv. 266563; Sez. 4, n. 1513 del 03/12/2013, dep.2014, Shehi, Rv. 258487).
5. Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso; segue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente processuali.
Così deciso in data 11 ottobre 2016

FONTE: Cassazione Penale