Sicurezza sul Lavoro. Utilizzo di un carrello di servizio e caduta dall’alto. Dispositivi di protezione individuale
Fatto: 1. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza in epigrafe, ha riformato limitatamente al trattamento sanzionatorio, riconoscendo la circostanza attenuante prevista dall’art.62 n.6 cod. pen., la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Bergamo nei confronti di R.M. in relazione al reato di cui agli artt.113 e 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen. per avere cagionato, in qualità di amministratore unico dell’impresa Rivestimenti Refrattari s.r.l. e datore di lavoro, lesioni gravi a G.B.M., per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché nella violazione dell’art.2087 cod. civ., dell’art.71, comma 4, lett.a) d. lgs. 9 aprile 2008, n.81 per non avere preso le misure necessarie affinchè il carrello di servizio della fossa venisse utilizzato in conformità alle istruzioni d’uso del costruttore ed in particolare affinchè venisse utilizzato da un operatore esperto con idonee cinture di sicurezza per salire ed operare sulla passerella mobile, cinture da agganciarsi alla struttura immediatamente dopo essere saliti sulla passerella, assistito da un altro operatore che operasse da terra, e dell’art.37, commi 1,3 e 4 lett.a) d. lgs. n.81/2008 per non avere effettuato una idonea formazione ed addestramento al lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro sui rischi specifici legati all’utilizzo del carrello fossa con particolare riferimento al pericolo di caduta dall’alto. Commesso in Cividate al Piano il 4 ottobre 2012.
2. Il fatto è stato così ricostruito nelle sentenze di merito: il lavoratore stava eseguendo, nel reparto acciaieria della OLIFER-ACP s.p.a., operazioni di manutenzione subappaltate all’impresa sua datrice di lavoro Rivestimenti Refrattari s.r.l.; tali operazioni consistevano nel controllo visivo della pulizia all’interno della colonna di colata e delle lingotterie a bordo di un carrello posto a servizio della fossa di colata; nell’eseguire il predetto controllo, guardando all’interno con una torcia elettrica quando il carrello fosse passato sopra la fossa, aveva perso l’equilibrio ed era caduto oltre il parapetto del carrello all’interno della fossa, da un’altezza di circa sette metri riportando trauma cranico cerebrale e politrauma.
3. R.M. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per vizio di motivazione. Ritiene, in particolare, che la Corte di Appello abbia confermato la pronuncia di condanna travisando le caratteristiche della passerella in uso al lavoratore, considerandola alla stregua di un «apparecchio di sollevamento di tipo mobile» senza confrontarsi adeguatamente con le osservazioni critiche del consulente tecnico di parte, che aveva invece evidenziato trattarsi di una «piattaforma di lavoro autosollevante su colonne» per la quale non è previsto l’uso di ulteriori D.P.I. anti-caduta in presenza di dispositivi di sicurezza collettivi come un regolare parapetto e la tavola fermapiede. Deduce che la Corte avrebbe travisato ulteriormente il fatto ritenendo che nel manuale d’uso del carrello sarebbe stata presente la prescrizione dell’obbligo di installare sulla passerella le cinture di sicurezza ed affermando che l’imputato, dopo l’infortunio, avrebbe apportato le opportune modifiche strutturali onde installare le linee di trattenuta. Il ricorrente, si sostiene, si sarebbe limitato a posizionare all’esterno della passerella una linea vita alla quale l’operatore potesse agganciare il cordino del dispositivo anti-caduta.
Con un secondo motivo, si deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, pur avendo escluso elementi di riscontro alla tesi difensiva secondo la quale il lavoratore avrebbe scavalcato il parapetto, ha effettuato un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti «in ragione del concorso di colpa dell’infortunato».
Diritto: 1. Il ricorrente è stato condannato per aver violato alcune regole cautelari specifiche, segnatamente la regola che impone al datore di formare i lavoratori in relazione ai rischi connessi alle mansioni loro affidate e la regola che impone al datore di lavoro di adottare le misure necessarie affinchè le attrezzature di lavoro siano utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso.
1.1. Posta tale premessa, il primo profilo di censura sembra ignorare che la contestazione attiene alla violazione dell’obbligo di attenersi alle regole cautelari indicate dal costruttore, dirottando l’attenzione su osservazioni del consulente tecnico di parte che tendono a mettere in discussione il fondamento di tali regole cautelari. Non essendo tali osservazioni in grado di elidere l’operatività del precetto cautelare, né la prevedibilità dell’evento, si può ritenere che la Corte territoriale abbia congruamente esaminato le doglianze difensive sul punto, ponendo l’accento sul funzionamento della piattaforma e sul rischio di cadute dall’alto connesso al suo utilizzo.
1.2. I giudici di merito hanno ritenuto configurabile, con motivazione esente da vizi rilevabili in sede di legittimità, l’elemento psicologico del reato contestato muovendo dal presupposto che l’obbligo di agire presuppone la conoscenza o quantomeno la conoscibilità, con la diligenza propria dell’agente modello, della situazione che rende attuale l’obbligo medesimo. In altre parole, con giudizio ex ante, il datore di lavoro che trascuri di attenersi alle istruzioni d’uso fornite dal costruttore della macchina può considerarsi in grado di riconoscere la pericolosità della postazione di lavoro, conoscibilità che non sarebbe possibile escludere persino in caso di attestazione di conformità della macchina rilasciata dal produttore (Sez.4, n.27959 del 5/05/2008, Stefanacci, Rv.24051901), tanto meno in condizioni di uso anomalo del macchinario.
1.3. Il datore di lavoro non può, infatti, ritenersi esente da responsabilità qualora si sia posto, con un utilizzo della macchina non conforme al manuale d’uso, nella condizione di ampliare l’area di rischio infortunistico, posto che in tale situazione emerge con chiarezza la sussistenza di quel concreto elemento che rende prevedibile l’evento. E’ qui utile ricordare la nozione che della prevedibilità dell’evento è stata elaborata dalla giurisprudenza di legittimità. Valutando la prevedibilità di un evento, il giudice si pone, in sostanza, il problema delle conseguenze di una certa condotta commissiva od omissiva avendo presente il modello di agente, ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmáticamente una determinata attività che importa l’assunzione di certe responsabilità nella comunità, la quale esige che l’operatore concreto si ispiri a quel modello facendo tutto ciò che da questo ci si aspetta (Sez.4, n.31462 del 26/05/2006, Capobianchi, Rv.23542301).
2. Il profilo di censura che attiene più in dettaglio alle modalità attraverso le quali il datore di lavoro avrebbe dovuto garantire il rispetto delle prescrizioni contenute nel manuale d’uso del macchinario contrasta frontalmente con il tenore della decisione e con la stessa relazione del consulente di parte allegata al ricorso. Si sostiene che il costruttore non avesse prescritto l’installazione di cinture di sicurezza e che la passerella non fosse idoneo punto d’aggancio, sottilizzando sulla distinzione tra prescrizione d’utilizzo ed installazione delle cinture. Ma si deve considerare che la cintura di sicurezza, per essere tale, deve necessariamente avere un punto d’ancoraggio e che quest’ultimo non può che essere installato sul macchinario, ove si tratti di macchinario mobile. Non ricorre, pertanto, alcun travisamento della prova, avendo i giudici di merito correttamente identificato la prescrizione circa l’utilizzo delle cinture di sicurezza con il previo obbligo di installare idonei punti di ancoraggio sulla macchina. La mancata rispondenza delle considerazioni svolte nella motivazione alle acquisizioni processuali può, peraltro, essere dedotta quale motivo di ricorso a condizione che comporti il cosiddetto travisamento della prova e purché siano indicate in maniera specifica ed inequívoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. Ed il ricorso che, in applicazione della formulazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., intenda far valere il vizio di «travisamento della prova» deve indicare quale sia l’informazione inesistente o l’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica. Sotto tale profilo, la censura difetta di specificità.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto d’interesse del ricorrente.
3.1. In tanto può dirsi sussistente un interesse ad impugnare, in quanto il provvedimento comporti la possibilità della lesione in concreto di un diritto o di un altro interesse giuridico della parte che impugna, sicché resta escluso il potere di impugnativa ogni qual volta l’interesse si esaurisca nella pretesa meramente teorica alla esattezza giuridica della pronuncia giudiziale.
3.2. In particolare, nel caso in esame non è interesse del ricorrente contrastare un punto della decisione con il quale è stato formulato un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti, pervenendo in conseguenza di ciò ad una sensibile riduzione del trattamento sanzionatorio.
4. Il ricorso deve essere, per tali ragioni, rigettato; segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.: Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
FONTE: Cassazione Penale