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Cassazione Penale, Sez. 4, 29 dicembre 2016, n. 55166 – Sostituzione di lastre di copertura su capannone industriale in quota e infortunio mortale. Ruolo e posizione di garanzia di un coordinatore per la sicurezza di fatto o di diritto

Fatto:

1. La Corte di Appello di Firenze con sentenza del 13.3.2015, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lucca che aveva riconosciuto P.R. colpevole del delitto di cooperazione colposa nell’omicidio di H.C.G.G., dipendente della ditta CAF esecutrice delle opere in un cantiere di Lucca, riconosceva al P.R. le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata circostanza aggravante e rideterminava la pena in anni uno mesi quattro di reclusione con sospensione condizionale della pena.
2. Il giudice territoriale evidenziava come il lavoratore si trovasse a lavorare in quota al di sopra della copertura di capannone industriale intento a posizionare le nuove lastre metalliche di copertura che avevano preso il posto della vecchia copertura in amianto e ciò faceva in violazione del POS il quale prescriveva che gli operai di regola dovevano operare dall’Interno del fabbricato, ovvero dall’esterno servendosi di piattaforma elevatrice munita di navicella cui dovevano comunque rimanere collegati, mentre l’operaio nel caso in specie risultava avere operato dalla superficie della copertura e, pure dotato di imbracatura e fune di sicurezza, egli non era assicurato né alla piattaforma, né ai ganci di attacco posti sulla copertura.
3. Riconosceva poi nell’Imputato P.R. la veste, di diritto o di fatto, di coordinatore per la progettazione e la esecuzione, laddove tale veste aveva ricoperto in analoghi interventi eseguiti sui capannoni 1, 2 e 5, che il P.R. era presente nel cantiere il giorno dell’infortunio, che lo stesso in documenti ufficiali quali la DIA e la notifica preliminare alla Usl in data 20.11.2008 aveva indicato sé stesso quale coordinatore per la esecuzione delle opere e che aveva indicato quali ditte esecutrici non solo la impresa CAF ma anche altra ditta (G.L. e R.M. s.n.c.), sostanzialmente riconoscendo non solo la qualifica rivestita, ma anche la necessità di procedere alla predisposizione di un piano per il coordinamento e la esecuzione, ponendosi il rischio interferenziale di almeno due ditte chiamate ad operare nel cantiere.
4. Rilevava sul punto che il P.R. aveva del tutto omesso la predisposizione di un siffatto piano e pure presente in cantiere, aveva avuto modo di osservare che i dipendenti della impresa Caf operavano in dispregio del Pos e che lo stesso Pos risultava carente in quanto prevedeva la possibilità per l’operatore di lavorare in quota vincolato alla piattaforma, senza considerare che, in caso di caduta, esso avrebbe potuto coinvolgere la stessa piattaforma elevatrice; contestava pertanto al coordinatore di non essere intervenuto in funzione adeguatrice del POS, disponendo, se del caso, la sospensione della lavorazione come era sua facoltà ed obbligo.
5. Sotto il profilo causale rappresentava come l’omissione del P.R. fosse collegata direttamente alla caduta del lavoratore in una fessura della copertura, e che nessuna interruzione della relazione causale poteva essere ricondotta all’opera dei sanitari che ebbero in cura il lavoratore presso l’Ospedale di Lucca, non potendosi parlare di un decorso causale del tutto nuovo ed eccezionale innescato da siffatta condotta la quale al contrario si inseriva all’interno della sequenza causale culminata con le gravi lesioni riportate nella caduta dall’operaio, secondo criteri di prevedibilità nella somministrazione de una prestazione sanitaria non diligente o tempestiva.
6. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato affidandosi a due motivi di ricorso.
6.1 Con un primo motivo deduceva violazione di legge in relazione agli art. 17 comma I lett.a), art.28 comma II, art.89 comma I lett.a); art.90 comma 11, art.91 comma I; art.92 comma I lett.e), f) e comma IV; art.99 lett. a), b) e c); art.101 comma III; art.158 comma I e II lett.a) del D. L.vo 81/2008 e della legge 88/2009 e relativo vizio motivazionale sul punto.
6.1.1 Assumeva in particolare che il P.R. non solo non aveva rivestito in relazione al cantiere in oggetto la veste e il ruolo di coordinatore per la progettazione e la esecuzione delle opere ma che, in relazione alla natura e all’estensione delle opere da realizzare e all’impiego per tale finalità di un’unica impresa, non era prevista una tale figura di responsabile, essendo sufficiente la posizione di garanzia del datore di lavoro che aveva predisposto il Pos.
6.1.2 In particolare evidenziava che del tutto in conferente risultava la documentazione cui aveva fatto riferimento il giudice di appello a sostegno della responsabilità del prevenuto o quantomeno, a sostegno del suo ruolo di garanzia di coordinatore per la progettazione e la esecuzione delle opere laddove tanto la Dia, quanto la notifica preliminare alla Asl richiamate in sentenza, si riferivano non già alle opere da eseguirsi sul capannone 3, bensì ad opere realizzate precedentemente su altri lotti e concluse fin dal Luglio 2008, mentre il cantiere si riferiva a differente Dia – la n. 754 del 1.4.2008 – in relazione ad interventi intrapresi successivamente;
6.1.3 Rilevava inoltre che in relazione al cantiere in questione, individuato nella sopra richiamata DIA, non era prevista la figura del coordinatore per la progettazione e la esecuzione, in assenza di pluralità di imprese, pure in alternanza, che inoltre si era in presenza di cantiere ove si eseguiva un lavoro privato, non soggetto a permesso di costruire per il quale l’art.90 comma 11 del D.L.vo 81/2008 non prevedeva la designazione del coordinatore, anche in ragione della previsione di spesa inferiore a 200 uomini giorno (ar.99 co. 1 lett.c D. L.vo 81/2008).
Dalla documentazione relativa al piano di lavoro e da quella trasmessa dalla CAF all’Asl risultava che il P.R. agiva nella mera qualità di direttore dei lavori e che non aveva assunto alcuna veste di garanzia in relazione alla sicurezza sul luogo di lavoro.
6.1.5 Assumeva inoltre che i mezzi impiegati dal datore di lavoro, sia per operare internamente al capannone sia per svolgere le attività al di sopra alla copertura, erano perfettamente idonei allo scopo quali mezzi di protezione collettiva e non erano risultate contestate dagli organi di vigilanza successivamente al deposito della documentazione relativa presso i loro uffici.
6.2 Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge in riferimento all’art.41 comma II cod.pen. laddove, richiamando gli esiti peritali in ordine alle modalità di somministrazione del trattamento sanitario all’operaio ferito ma non in immediato pericolo di vita, rilevava che i ritardi e le omissioni riscontrate, con particolare riferimento alla omessa predisposizione di interventi di stabilizzazione della frattura al bacino, di infusione di sangue e di intervento in laparotomia si ponevano in diretto rapporto di causalità con l’evento così da costituire autonomo fattore causale del decesso del lavoratore.

Diritto

1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
La sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che i giudici di merito, attraverso un articolato motivazionale del tutto integro sotto il profilo logico giuridico e coerente con gli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell’imputato, sia sotto il profilo organizzativo, in ragione di un piano di coordinamento per la sicurezza in fase esecutiva mancante, sia per una inadeguata attività di coordinamento e vigilanza delle opere in fase esecutiva.
2. La difesa del ricorrente si duole del fatto che nel cantiere oggetto di intervento edile, da cui scaturì il tragico infortunio del lavoratore, impegnato nella giornata di domenica 16 Agosto in opere di sostituzione di lastre di copertura su capannone industriale in quota, non era previsto, in accordo con i programmi e gli impegni della impresa committente, la compartecipazione di più ditte, di talché non vi era stata la nomina di un coordinatore per la progettazione e per la esecuzione di quella specifica opera (copertura del capannone n.3), né il P.R., che aveva l’incarico di direttore dei lavori, aveva provveduto a redigere un piano di sicurezza e a notificarlo ai sensi di legge. A tale proposito assumeva che la motivazione della decisione impugnata si presentava travisante e inosservanze del titolo IV D.Lgs. 9.4.2008 n.81 sotto molteplici profili atteso che, in relazione alla specifica Dia attivata e al cantiere di lavoro, circoscritto all’area di intervento cui essa si riferiva, non si sarebbe posta la questione della gestione del rischio interferenziale e pertanto non veniva indicata la figura del coordinatore per la progettazione ed esecuzione.
2.1 Prevede invero l’art. 90 III comma D.Lgs. 9 Aprile 2008 n.81 che nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’Incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.
Il successivo comma prevede che nel caso previsto nel comma precedente, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per la esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’art.98 successivo.
2.2 Orbene emerge già dalla parte in fatto della sentenza di secondo grado che le opere di rifacimento della copertura dell’impianto industriale, variamente ripartito e strutturato, erano comprese in un complessivo intervento di sostituzione di coperture di molteplici capannoni aziendali, il quale si era svolto continuativamente sulla base della presentazione di apposite Dia da parte dell’arch.P.R., incaricato dalla committenza (Oleificio R.) della progettazione, della direzione dei lavori e indicato quale coordinatore per la progettazione e la esecuzione del complessivo intervento edilizio all’atto del conferimento dell’incarico.
2.3 A tale proposito il giudice di appello, dopo avere evidenziato il succedersi delle varie Dia presentate dall’arch.P.R. e dopo avere rappresentato, sotto il profilo amministrativo, lo svolgersi dei distinti procedimenti che avevano condotto al rifacimento dei capannoni 1, 2 e 5, dava atto che in relazione al capannone n.3, ristrutturato in continuità temporale rispetto alle precedenti lavorazioni (tutte intervenute negli anni 2007 e 2008), come è possibile desumere dalla data della Dia, il P.R. non figurava quale coordinatore in fase di esecuzione.
Assumeva peraltro il giudice di appello che tale posizione di garanzia gli competeva sia di diritto, evocando la fonte della investitura formale sulla base di una serie di atti amministrativi, di cui il P.R. deduceva il parziale travisamento, sia comunque di fatto, atteso che il P.R. era stato espressamente indicato quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione all’atto dell’incarico della progettazione in relazione all’intervento complessivo, in conformità alla disposizione sopra richiamata (art.90 commi III e IV D.Lgs. 2008/81).
2.4 In effetti il ragionamento seguito dal giudice di appello appare logicamente espresso e frutto di aderenza alle risultanze processuali, dal momento che il P.R. aveva costantemente diretto e coordinato tutti i lavori che si erano succeduti nell’area di intervento che, come emerge dalle tavole allegate anche a sostegno della auto sufficienza del ricorso, costituiva un complesso industriale unitario, che si sviluppava in un fabbricato industriale principale, sebbene suddiviso in più articolazioni, che nel corso delle lavorazioni aveva visto il concorso e l’avvicendarsi di maestranze facenti capo a diverse ditte, rispetto alle cui lavorazioni aveva assunto il ruolo che gli viene assegnato in imputazione.
2.5 A tale fine poi poco rileva la circostanza che, in relazione allo specifico segmento di lavorazione nel corso del quale si realizzò il sinistro, il P.R. dismise formalmente la veste del coordinatore per la scurezza in fase di esecuzione, sul presupposto che soltanto la impresa edile CAF si sarebbe occupata della esecuzione dell’intervento e che pertanto difettava la esigenza di gestire un rischio interferenziale, laddove come è emerso nel corso della istruttoria dibattimentale altri soggetti erano intervenuti nel cantiere (il C., sentito come testimone, per la ditta D. ne costituisce un esempio), ma soprattutto altre imprese si erano succedute, sulla base dei piani di lavoro indicati nella sentenza impugnata, alternandosi e incrociandosi in esecuzione delle Dia presentate dal P.R., anche quale coordinatore per la progettazione e la esecuzione.
2.6 Invero se la posizione riconosciuta al coordinatore per la progettazione e la esecuzione è quella della alta vigilanza delle lavorazioni, sottesa a gestire il rischio interferenziale e non già a sovraintendere momento per momento alla corretta applicazione delle prescrizioni metodiche risultanti dal POS come integrate dal datore di lavoro e filtrate nel PCS (da ultimo sez.IV, 24.5.2016, Battisti, n. 27165; 12.11.2015, Porterà e altri, Rv.265661), nondimeno la figura del coordinatore rileva nel caso in cui i lavori contemplino l’opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra di loro e non necessariamente in concomitanza (sez. IV, 12.3.2015, Marzano, Rv. 263150), laddove i piani organizzativi e lavorativi siano comunque in grado di interferire (sez.IV, 7.6.2016, Carfì ed altri, Rv. 267687).
2.7 Non pare dubbio pertanto che anche nella ipotesi che ci occupa la posizione del P.R. non può ritenersi estranea alla area di garanzia presidiata dalla figura del coordinatore, in primo luogo in ragione del concreto atteggiarsi delle lavorazioni, che di fatto contemplavano l’accesso al cantiere a figure professionali organizzate e autonome distinte dall’unica ditta indicata nel piano di lavoro quale esecutrice degli interventi; in secondo luogo in ragione della auto assunzione di tale veste di garanzia da parte del P.R. nei diretti rapporti con la azienda committente, per come individuata all’atto di affidamento dell’incarico di progettazione e come enucleata e resa pubblica in tutte le lavorazioni che si erano succedute, senza soluzione di continuità, presso il complesso industriale e affidate ad una pluralità di imprese, prima dell’evento luttuoso dell’Agosto 2009.
3. Sotto questo profilo appare logicamente espresso il convincimento del primo giudice, ripreso nella decisione del giudice territoriale laddove ha ravvisato la sussistenza della posizione di garanzia del rischio interferenziale in capo al P.R., sia in ragione della gestione per contratto dei rischi interferenziali determinati dal succedersi nel cantiere di una pluralità di imprese edili strutturate ed artigiane fin dalla data del conferimento dell’incarico della progettazione, sia per la gestione di fatto di tale posizione di garanzia sul luogo di lavoro, come coerentemente il giudice di merito ha tratto spunto dalla testimonianza del C..
3.1 Conseguentemente nessun rilievo possono rivestire le censure svolte dalla difesa del P.R. relative alla ricorrenza di un “lavoro privato”, non soggetto a permesso a costruire, e alla assenza delle condizioni per procedersi alla nomina di un coordinatore per la progettazione e alla predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento, atteso che negozialmente e di fatto il P.R., ancor prima della entrata in vigore della disposizione richiamata dal ricorrente (L.88/2009), come sopra rappresentato aveva assunto verso il committente tale posizione di garanzia e, come rappresentato nel testimoniale, la aveva esercitata sul campo.
4. Superato il fulcro del primo motivo di doglianza non pare dubbio che appare del tutto adeguata e logica la motivazione del giudice di appello laddove, a fronte di carenze macroscopiche del POS, che consentiva all’operatore di procedere a lavorazioni in quota mediante piattaforma elevatrice dall’esterno del cestello (mediante cordino di ancoraggio alla piattaforma) o addirittura utilizzando la superficie della copertura in assoluta carenza di sicurezza (rischio di ribaltamento della piattaforma, assenza di ganci sulla copertura per fissare le funi della imbragatura), il P.R., quale coordinatore della sicurezza, presente sul luogo di lavoro e consapevole del rischio, anche interferenziale, derivante da tali modalità operative, avrebbe dovuto tempestivamente agire in funzione preventiva e adeguatrice, anche con l’impiego dei provvedimenti inibitori di cui all’art.92 lett. f) D.Lgs. 81/2008.
5. Anche il secondo motivo di ricorso deve essere disatteso. A fronte del gravissimo politraumatismo con frattura scomposta del bacino, emoperitoneo con necessità di somministrare trattamenti di urgenza sia per la stabilizzazione dei monconi della frattura (onde prevenire lo shock emorragico e le ulteriori conseguenze della coagulazione intravascolare disseminata), sia per drenare in laparotomia il sangue presente in addome, quali possibili cause di mortalità (si riportano alcune delle conclusioni peritali indicate nei motivi di ricorso), si imponeva un aggressivo trattamento chirurgico che contribuisse a eliminare tali criticità e a ridurre i conseguenti fattori di rischio pure presenti e subito evidenziati dal consulente medico legale (alterazione dei parametri vitali per ipotensione e tachicardia). Tale trattamento non venne somministrato o venne somministrato in misura non adeguata, anche in ragione della stringatezza dei termini a disposizione (la citata “golden hour”) e dell’organico del personale a disposizione (si trattava del pomeriggio del 16 Agosto che cadeva di domenica). A prescindere dal fatto che dalle stesse sentenze di merito non risulta formulata una valutazione di inadeguatezza terapeutica in capo ai sanitari che ebbero in cura il paziente poli traumatizzato in ragione della caduta dall’alto, appare del tutto conforme alla giurisprudenza del S.C. l’approdo cui sono pervenuti i suddetti giudici nell’escludere la ricorrenza di un fattore causale sopravvenuto da solo sufficiente a determinare l’evento e a interrompere la serie causale innescata dalla caduta del lavoratore.
5.1 Invero per costante insegnamento del S.C. risulta configurabile la interruzione del rapporto di causalità tra la condotta e l’evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta (quale è stato ritenuto quello drammaticamente incommensurabile commesso da un anestesista Cfr. sez.IV, 10.3.2016, P.C. in proc.Pietramala e altri), o dei tutto incongruo rispetto ai rischio originario attivato dalla prima condotta ( e tale non è stata ritenuta una infezione nosocomiale contratta dal paziente sez.IV, 3.5.2016, Di Giambattista e altri, Rv. 267374), ovvero caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi imprevedibili a seguito della causa presupposta (sez.II, 18.3.2015, Vasile, Rv. 263581; sez.IV, 19.2.2013, P.C. in proc. Morgando, Rv.256391). Nel caso in specie l’omesso o inadeguato trattamento sanitario, a fronte di patologia seria, che offendeva più distretti dell’organismo, con caratteristiche ingravescenti e che imponeva un sollecito intervento salvifico del sanitario per eliminare, con plurimi trattamenti chirurgici, i profili patologici in evoluzione, non costituiva un fattore causale da solo idoneo a determinare la morte del paziente, attesi i fattori di rischio già presenti come segnalati dalla diagnosi di accettazione e dal medico legale (emoperitoneo, tachicardia e ipotensione in presenza di frattura scomposta del bacino), dei tempi e dei modi in cui il trattamento andava somministrato (entro la prima ora dal ricovero avvenuto di domenica pomeriggio del 16 Agosto), e della mancanza di imprevedibilità dell’errore sanitario, dati anche i plurimi fattori di rischio presenti (sez.IV, 4.10.2007, Taborelli, Rv. 237838).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5.10.2016

FONTE: Cassazione Penale

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