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Cassazione Penale, Sez. 4, 17 novembre 2016, n. 48755 – Infortunio con la macchina squadatrice. Responsabilità del datore di lavoro per il macchinario non conforme e per la mancata formazione

SentenzaFatto: E.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona emessa in data 2.11.2015 con la quale è stata confermata la sentenza del Tribunale di Macerata del 21.10.2013 che ha ritenuto il predetto imputato responsabile del reato di cui all’art. 590 commi 1,2,3 c.p. perché, nella qualità di datore di lavoro, per colpa consistita in imperizia, negligenza, imprudenza nonché per violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, e segnatamente per avere omesso di assicurare che il guida lama presente nella macchina squadatrice fosse posto a non più di 3 mm dalla dentatura della lama (art. 70 co. 2 d.lvo 81/ 2008) cagionava al dipendente V.A. lesioni personali, consistite in fratture complesse della mano sinistra, dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in più dì 40 giorni.
La difesa dell’imputato ha dedotto vizio di motivazione con riguardo al giudizio di responsabilità. Ritiene che la Corte di merito abbia omesso di valutare il comportamento del lavoratore; comportamento assolutamente eccezionale, imprevedibile e tale da interrompere il nesso di causalità fra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento dannoso. Secondo la difesa il datore di lavoro aveva minuziosamente istruito il lavoratore sull’impiego del macchinario con riguardo alla corretta apposizione del pezzo di legno oggetto del taglio e alle modalità di spinta del taglio mantenendosi sempre in posizione di sicurezza. Contrariamente a quanto sostenuto dalla parte offesa, il datore di lavoro lo aveva informato sull’impiego del dispositivo di sicurezza presente sul macchinario, dispositivo che necessariamente doveva essere spostato ogni volta che iniziava una nuova lavorazione. Non solo l’imputato ha assolto al suo obbligo di informazione ma ha costantemente vigilato sull’operato del lavoratore arrivando a riprendere il V.A. proprio perché manteneva la lama della sega troppo alta.
Invece il dipendente, per come era stato impostato il macchinario, disattendendo le istruzioni ricevute, ha avvicinato la mano sinistra alla lama, oltre la distanza di sicurezza.

Diritto:
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Il ricorrente, infatti, mira ad ottenere una rivalutazione degli elementi di prova non consentita in sede di legittimità. Come emerge dalla lettura dell’impugnata sentenza i giudici di merito hanno ritenuto che l’infortunio si sia verificato in quanto il datore di lavoro ha consentito che venisse utilizzato un macchinario non conforme al disposto dell’art. 70 co 2 d.lvo 81/08 ed ha omesso di istruire il lavoratore circa il corretto utilizzo del macchinario ed i rischi connessi alla lavorazione.
Ciò in contrasto con gli obblighi del datore di lavoro in materia antinfortunistica. Come più volte evidenziato da questa stessa Corte, infatti, tali obblighi sono finalizzati a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti dipendenti da imperizia, negligenza, imprudenza dello stesso, di conseguenza il datore di lavoro risponde per omissione colposa quanto all’adozione dei presidi diretti a neutralizzare il pericolo derivante non solo dall’esecuzione normale dell’attività lavorativa e del corretto utilizzo della macchine da parte del lavoratore ma anche da tutte quelle attività ed iniziative del lavoratore anomale ed eccezionali ancorché prevedibili, connesse alla assuefazione e alla mancata valutazione da parte sua dei rischi legati alla lavorazione.
La responsabilità del datore viene meno solo in caso di comportamenti del lavoratore del tutto abnormi, imprevedibili, tali da sfuggire ad ogni possibilità di controllo del datore stesso. Circostanza quest’ultima esclusa dalla Corte di appello.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.: Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, in data 12 luglio 2016.

FONTE: Cassazione Penale

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