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Cassazione Penale – Caduta dalla scala di legno a forbice. Responsabilità del datore di lavoro

Fatto: 1. La Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna resa dal G.i.p. del Tribunale di Enna in data 25.11.2013, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di I.F., in riferimento al reato di cui all’art. 590, cod. pen.
Al prevenuto si contesta, nelle sua qualità di legale rappresentante della Ditta B. srl e come responsabile del cantiere ubicato nella contrada Bafurdo-S.Elena, di avere cagionato al dipendente D’A.S. le lesioni gravi indicate in rubrica, per colpa consistita nella violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 147, comma 1, T.U. 81/2008). In particolare, secondo l’assunto accusatorio, l’imputato ometteva di predisporre parapetti con tavole fermapiede fissati rigidamente a strutture resistenti ed ometteva altresì di verificare che i lavoratori addetti a lavorazioni in quota indossassero i dispositivi di protezione individuale, di talché D’A.S., che nello svolgimento delle mansioni affidategli si trovava su di una scala di legno a forbice, rovinava al suolo, riportando le fratture multiple al tronco e gli altri insulti lesivi.
La Corte territoriale, nel censire le specifiche ragioni di doglianza dedotte dall’appellante, rilevava che l’evento lesivo era riconducibile alla condotta omissiva dell’imputato, che non aveva fornito ai dipendenti i dispositivi di sicurezza necessari in concreto. La Corte distrettuale rilevava che non poteva essere accolta la tesi difensiva, volta a qualificare come abnorme la condotta del dipendente infortunato. Ciò in quanto D’A.S. si era limitato a eseguire le mansioni affidategli, se pure utilizzando una scala di sua proprietà. Il Collegio evidenziava che non vi erano dubbi sulla attribuibilità del reato all’imputato, posto che, a prescindere dai rapporti intercorrenti tra le società SAI Costruzioni e B. presenti in cantiere, I.F., nella sua qualità di datore di lavoro, era gravato dall’onere di vigilare sull’osservanza delle prescrizioni antinfortunistiche.
2. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta ha proposto ricorso per cassazione I.F., a mezzo del difensore. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
L’esponente, nel contestare l’affermazione di responsabilità penale, con il primo motivo richiama il verbale di contravvenzione redatto dall’Ispettorato Provinciale del Lavoro, nei confronti di I.R., legale rappresentante della SAI Costruzioni srl, società utilizzatrice del lavoratore D’A.S., se pure quest’ultimo fosse formalmente assunto dalla B. srl.
La parte osserva che il cantiere ove ebbe a verificarsi il sinistro era sotto la diretta responsabilità della SAI Costruzioni srl; e rileva che sfuggono i presupposti per ritenere che vi fosse un contratto di subappalto tra SAI Costruzioni e B. srl; per l’effetto, ritiene che D’A.S., se pure formalmente dipendente della B., deve ritenersi dipendente della SAI.
Con il secondo motivo l’esponente deduce il vizio motivazionale.
Osserva che all’imbianchino D’A.S. era stato affidato il compito di tinteggiare, utilizzando scale interne di accesso, le inferriate della palazzina del lotto n. 2. Considera che erroneamente la Corte di Appello afferma che il dipendente avrebbe potuto accedere ai piani superiori solo dall’esterno.
Il ricorrente rileva che D’A.S., al fine di ripulire una porzione del ballatoio che si era sporcata, mansione estranea dalle sue mansioni, abbandonò il posto di lavoro, si recò all’esterno del cantiere, ove prelevò la propria scala a forbice; quindi, intraprese l’opera di pulizia di un tratto del muro esterno, anziché continuare a pitturare dall’interno, senza informare il responsabile del cantiere.
La parte considera che la Corte territoriale, erroneamente, ha attribuito all’imputato la mancata predisposizione di dispositivi di protezione individuale, atteso che il lavoratore non avrebbe dovuto operare in quota, ma tinteggiare dall’interno del ballatoio; e rileva che il comportamento del D’A.S., che si spostò dal luogo di lavoro per prelevare la scala a forbice personale, costituisce una abnormità non prevedibile.
Con il terzo motivo il ricorrente rileva che la Corte territoriale, per confermare l’affermazione di responsabilità, introduce due nuove presunzioni, illogiche e contraddittorie. Ciò in quanto il Collegio ritiene che l’attività assegnata al D’A.S. non potesse che essere svolta dall’esterno; e che l’edificio fosse totalmente chiuso.
L’esponente osserva che si tratta di assunti che contraddicono il tenore del capo di imputazione e la narrazione effettuata dal teste DL..
Con il quarto motivo il ricorrente osserva che i giudici di merito hanno riconosciuto le attenuanti generiche, in ragione del concorso colposo nella causazione del reato, da parte della vittima. Osserva che, sul punto, in sentenza si rileva che l’evento non si sarebbe verificato, in caso di osservanza agli obblighi di legge. Il deducente considera che si tratta di ragionamento conforme a quello sostenuto dalla difesa, nel rilevare l’abnormità della condotta del lavoratore.

Diritto: 1. Il ricorso in esame impone i rilievi che seguono.
2. Il primo motivo di ricorso non ha pregio.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all’esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un unico cantiere edile predisposto dall’appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, il quale ha l’onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro (Sez. 3, Sentenza n. 19505 del 26/03/2013, Rv. 254993).
E bene, nel caso di specie, la Corte di Appello ha rilevato che in cantiere operavano sia la B. srl, alle cui dipendenze si trovava il D’A.S., sia la Sai Costruzioni srl; ha considerato che i rapporti intercorrenti tra le due società erano risultati irregolari, proprio in riferimento al contratto di subappalto, ed al ruolo di pseudo appaltante della Sai; e, del tutto legittimamente, in conformità al richiamato insegnamento giurisprudenziale, ha osservato che non era revocabile indubbio la sussistenza della posizione di garanzia in capo a I.F., nella sua qualità di legale rappresentante della B. srl e di datore di lavoro del D’A.S..
3. I restanti motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente, sono infondati.
Come noto, la Corte regolatrice ha chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è osservato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni, con le seguenti precisazioni: che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; che può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; che deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Deve pure osservarsi che la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il 20.03.2000, Rv. 215686); e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il comportamento del lavoratore rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, dep. 9.03.2007, Rv. 236109).
E bene, a questo punto della trattazione deve rilevarsi che la Corte territoriale ha insindacabilmente escluso il carattere abnorme della condotta posta in essere dal lavoratore infortunato, in considerazione del fatto che D’A.S. stava eseguendo le mansioni affidategli, nel momento in cui rovinò al suolo. Sul punto, il Collegio ha chiarito che all’imbianchino era stato assegnato il compito di tinteggiare le ringhiere, precisando che il medesimo tecnico che ebbe ad affidare l’incarico di che trattasi aveva ammesso di essersi disinteressato delle modalità con le quali la tinteggiatura sarebbe stata eseguita. Oltre a ciò, la Corte di merito ha sottolineato che l’imbianchino D’A.S. aveva riferito di avere utilizzato la propria scala, di legno, in quanto più leggera e sicura, di quelle presenti in cantiere. Il Collegio ha pure rilevato che non vi era prova che al D’A.S. fosse stata data la possibilità di accedere dall’interno dei ballatoi, per svolgere le operazioni di tinteggiatura.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di Appello ha del tutto logicamente rilevato che l’imputato non aveva vigilato sull’osservanza delle prescrizioni antinfortunistiche e che non aveva verificato che il dipendente D’A.S. svolgesse in totale sicurezza i compiti di tinteggiatura affidatigli. Preme pure considerare che la ritenuta sussistenza di concorrenti profili di colpa lieve, a carico del lavoratore infortunato, che si avvalse di una scala di sua proprietà, non integra un elemento di contraddizione nell’ordito motivazionale sviluppato dalla Corte di merito, ma evidenzia la correttezza dell’analisi svolta, rispetto al concerto contesto fenomenologico di riferimento. Del resto, i profili di colpa lieve ascritti al D’A.S., inidonei a spiegare alcuna efficacia esimente per il datore di lavoro resosi responsabile della inosservanza delle prescrizioni antinfortunistiche di cui sopra si è dato conto, hanno giustificato il riconoscimento delle attenuanti generiche in favore dell’imputato I.F..
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 14 settembre 2017.

FONTE: Cassazione

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