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Cassazione Penale, Sez. 3, 23 febbraio 2017, n. 8842 – Mancanza di parapetti o di opere atte ad evitare la caduta dall’alto. Ruolo e responsabilità del coordinatore per l’esecuzione dei lavori

Fatto:
1. Con sentenza del 15 gennaio 2015 il Tribunale di Lanciano ha condannato, tra gli altri, G.F. alla pena di euro 500,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, in relazione al contestato reato di cui all’art. 92, comma 1 lett. a), del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
2. Avverso il predetto provvedimento l’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha lamentato travisamento della prova ed illogicità della motivazione, laddove il Tribunale di Lanciano non avrebbe tenuto conto delle deposizioni dei testi che dichiaravano di avere provveduto alla prescrizione imposta loro, in particolare di aver montato i parapetti; né il Giudice aveva considerato che nella giornata del 29 giugno 2012, allorché gli ispettori del lavoro si erano recati in cantiere per verificare l’osservanza delle prescrizioni, non erano in atto lavorazioni.
In tal modo il Tribunale aveva motivato sbrigativamente la ricostruzione dei fatti, omettendo qualsiasi considerazione in ordine ad un’ipotesi antagonista egualmente coerente e così provocando un vizio di motivazione.
2.2. Col secondo motivo infine è stata lamentata la mancata concessione delle attenuanti generiche.
3. Il Procuratore generale ha richiesto il rigetto del ricorso.

Diritto:
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Vero è, infatti, che la censura del ricorrente si appunta sulla pretesa mancata considerazione dell’ipotesi alternativamente allegata dalla difesa dell’imputato.
L’assunto è palesemente infondato, e quindi inammissibile.
Il Tribunale ha dato infatti puntuale conto delle ragioni proposte dal G.F., laddove il primo Giudice ha registrato che, secondo la prospettazione difensiva, l’accertamento dell’eliminazione della violazione riscontrata nel cantiere in Selva d’Altino dagli ispettori del lavoro (ossia la mancanza di parapetti o di opere atte ad evitare la caduta dall’alto) avrebbe dovuto essere effettuato nell’immediatezza della scadenza del termine del 14 maggio 2012, assegnato dai funzionari della Direzione provinciale del lavoro per adempiere alle prescrizioni di sicurezza, dal momento che medio tempore (il sopralluogo di verifica è stato infatti compiuto solamente il successivo 29 giugno) era stata ultimata quella fase dei lavori, sì da rendere non più attuale il pericolo per l’incolumità dei lavoratori.
Al contempo, peraltro, il Tribunale non ha revocato in dubbio quanto allegato dalla difesa, e ha dato altresì atto che alla data del sopralluogo del 29 giugno 2012 non erano in corso lavori. Peraltro è stato decisivamente osservato – ed il rilievo non è stato fatto oggetto di censura alcuna in sede d’impugnazione – che “sul solaio mal protetto si trovava ancora materiale di risulta. Tale materiale, ovviamente, avrebbe dovuto essere eliminato e per fare ciò qualcuno avrebbe dovuto necessariamente accedere a quel solaio non protetto a norma di legge”. Alla stregua di ciò, pertanto, il primo Giudice ha positivamente accertato la responsabilità dell’odierno ricorrente.
Non sussiste quindi alcun travisamento nella valutazione della prova ovvero illogicità nella motivazione.
Vero è che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall’art. 5 del d.lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo, previsto dall’art. 92, lett. f), del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735). Ed è altrettanto vero che la legge specifica il contenuto degli obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ossia dell’odierno ricorrente, durante la realizzazione dell’opera.
Ma in specie, e proprio dal non contestato contenuto della sentenza in proposito, sussistevano ancora lavori – ancorché di mera sistemazione dell’area  – da condurre a termine, per i quali dovevano comunque sussistere condizioni di sicurezza, in specie certamente mancanti, identiche a quelle previste in corso d’opera (opera che, proprio per le ragioni non illogicamente somministrate dal Tribunale, non poteva in realtà ancora dirsi compiutamente realizzata, stante la necessaria attività di eliminazione dei materiali avanzati, collocati in zona pericolosamente esposta). Né può sostenersi che le funzioni di vigilanza, quantunque alta, escludessero possibilità e doverosità degli interventi di cautela.
La censura è quindi senz’altro manifestamente infondata, anche perché il motivo proposto non coglie la ratio della decisione impugnata.
4.2. In relazione poi al secondo motivo di censura, è appena il caso di ricordare che il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti (Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696).
In specie, dall’esame del provvedimento impugnato e delle conclusioni rassegnate dalle parti (riportate nell’epigrafe della sentenza del Tribunale abruzzese), non risulta essere stata formulata alcuna richiesta in proposito. Né, per vero, l’odierno ricorrente si è lamentato dell’eventuale mancata risposta del Tribunale ad una sua specifica domanda, dolendosi solamente del fatto, in sé irrilevante alla stregua dell’orientamento richiamato, che il Giudice non aveva concesso i benefici di legge nulla argomentando a riguardo.
Anche detta censura deve quindi essere ritenuta inammissibile stante la sua palese infondatezza.
5. Il ricorrente va pertanto condannato altresì al pagamento delle spese processuali.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue altresì, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.

P.Q.M.:
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 30/11/2016

FONTE: Cassazione Penale

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